Le stragi mafiose del 1992 furono parte di un pericoloso disegno terroristico-eversivo
Sono tra coloro che credono alla forza rievocativa di ricorrenze e anniversari, specialmente quando ci aiutano a ricordare fatti ed episodi in grado di rinnovare valori e sentimenti alla base della nostra convivenza democratica. Il trentennale delle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio, che costarono la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli uomini delle loro scorte, si inserisce a pieno titolo in questa importante casistica. Allo stesso tempo, però, mal sopporto la retorica della “anniversariologia”, spesso intrisa di ipocrisia e di falsa coscienza da parte di chi usa certe ricorrenze e anche i nostri “eroi civili” per poi nei fatti dimenticarli.
Per fuggire a questi rischi dovremmo essere capaci di trasformare i ricordi e la memoria in impegno civile per la ricostruzione di quei fatti alla luce delle verità investigative emerse nel corso degli anni. Solo così sarà possibile sapere cosa realmente resta del sacrificio di quegli uomini; dietro alle stragi del 23 maggio e del 19 luglio del 1992, infatti, non poteva non esistere una complessa e oscura trama fatta di mafia ma anche di poteri occulti, direttamente o indirettamente collegati con alcuni apparati dello Stato. Nel biennio 1992/1994 è stato posto in essere un progetto terroristico-eversivo che ha inciso e condizionato la democrazia nel nostro Paese; agli attentati del 1992 seguirono altre sette stragi il cui scopo di fondo è stato quello di rinegoziare da parte di Cosa Nostra i rapporti con lo Stato, i rapporti con le istituzioni, i rapporti con la politica. Una pagina drammatica della nostra storia recente su cui non si è ancora fatta piena luce.
Poche settimana fa è stato divulgato per la prima volta un audio inedito di Giovani Falcone, estremamente significativo perché si tratta di parole pronunciate nel corso di un incontro con la polizia giudiziaria:
“Non c’è un omicidio sbagliato, finora, in seno a Cosa nostra“, diceva Falcone.
Parole pesanti, per certi versi profetiche; siamo nel marzo del 1989 e per il giudice è già iniziata la stagione dei veleni, che culminerà in estate con il fallito attentato dell’Addaura e le lettere del Corvo. Nell’audio inedito, pubblicato dall’agenzia Askanews, il magistrato assassinato nella strage di Capaci parla a ruota libera. Sembra voler sottolineare come le capacità e i legami ad alto livello di Cosa nostra siano stati spesso sottovalutati. “Quando si uccise Dalla Chiesa tutti dissero ‘è stato commesso un errore storico’. Poi hanno ucciso Chinnici, anche questo ‘errore storico’, poi hanno ucciso Cassarà e hanno detto, ‘altro errore storico’. E continuiamo a fare errori storici. Non hanno sbagliato. Hanno sempre indovinato: momento opportuno, momento giusto, hanno colpito al momento giusto, il che dimostra, a parte la ferocia e la determinazione, una assoluta conoscenza di notizie di prima mano”.
“Notizie di prima mano !”, proprio così si esprimeva Giovanni Falcone, con un’allusione nemmeno tanto velata alle possibili infiltrazioni mafiose nelle istituzioni. Parole che oggi, più di ieri, devono farci riflettere e ripensare anche ai tanti attacchi che Falcone subì da parte di importanti politici e magistrati all’indomani della sua nomina da parte dell’allora Ministro della Giustizia Claudio Martelli ad uno dei posti-chiave proprio nel dicastero di Via Arenula.
“Più si conoscono i dettagli della vita dei nostri martiri civili, più si capisce”, ha affermato il filosofo Augusto Cavadi, “che la loro morte è decifrabile solo come epilogo di un certo modo di esistere. E che non sono grandi perché sono stati uccisi, ma sono stati uccisi perché grandi.” Falcone e Borsellino erano dei giganti nel 1992, oggi sono anche degli eroi, simboli di un’Italia che non si è mai arresa alle offese alla giustizia e alla libertà.
E’ per questo che il trentennale della loro morte non può essere una semplice ricorrenza.