A 75 anni dalla nascita della Repubblica l’Italia torna a vivere un clima di ricostruzione
La Repubblica italiana ha festeggiato quest’anno i suoi tre quarti di secolo: il 2 giugno del 1946 l’esito del Referendum, che dopo venti anni di dittatura fascista aveva riportato le italiane e gli italiani al voto, sancì la vittoria della Repubblica sulla Monarchia archiviando guerre e macerie e dando vita al più lungo periodo di pace e democrazia della storia unitaria italiana.
Se anche quest’anno le restrizioni imposte dalla pandemia hanno impedito in Italia e all’estero l’organizzazione dei tradizionali eventi aperti alla partecipazione del pubblico, non per questo le commemorazioni sono state meno intense e sentite. Anzi, l’analogia tra lo spirito di rico[1]struzione del dopo-guerra e la disperata voglia di ripartenza dopo la pandemia hanno caricato questo anniversario di significati particolari. Anche oggi l’Italia si è ritrovata unita, anche al governo, intorno all’emergenza e alle sue due priorità: cam[1]pagna di vaccinazione e avvio del grande PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza che grazie ai fondi europei dovrà garantire al Paese riforme e investimenti sufficienti ad uscire dalla crisi provocata dal coronavirus.
Ma l’unità nazionale non può essere un valore limitato alla sia pur necessaria lotta alla pandemia; ad unirci, oggi come allora, devono essere i valori di libertà e democrazia che sono alla base della nostra Costituzione, valori da coltivare giorno dopo giorno come una pianta da curare ed innaffiare continuamente. La memoria infatti alimenta le nostre radici, e solo forti radici garantiscono alle piante di continuare a crescere e a fiorire. Il grande e robusto albero dell’Italia che tra un quarto di secolo celebrerà i suoi cento anni di democrazia è ricco di tanti rami, tra i quali si distingue quello articolato e rigoglioso degli italiani nel mondo.
Ed è proprio tra gli italiani all’estero che ogni anno la celebrazione del 2 giugno acquisisce i ri[1]svolti più profondi e per certo versi emozionanti: intorno alla bandiera ci riconosciamo italiani nel comune ricordo della terra d’origine e ciò che essa rappresenta ancora per noi e le nostre famiglie. Un sentimento al quale non sempre ha corrisposto un adeguato riconoscimento da parte delle istituzioni italiane, che troppo spesso continuano a guardare all’emigrazione come a un retaggio nostalgico del passato quando non come ad un problema da gestire. Si tratterebbe invece di valorizzare una volta per tutte questa Altra Italia, ricchissima di valori e straordinaria per le opportunità di internazionalizzazione che offre al Paese.
Eppure l’altro grande significato della festa del due giugno è proprio l’integrazione dell’Italia nell’Europa e nel mondo, secondo i princìpi del multilateralismo e della solidarietà tra i popoli. Mai come oggi il mondo è consapevole del fatto che “nessuno si può salvare da solo”, un impera[1]tivo chiarissimo all’indomani della tragedia della seconda guerra mondiale e altrettanto evidente oggi nel mondo alle prese con la pandemia.
È questo quindi l’auspicio che vogliamo espri[1]mere in occasione dei settantacinque anni della nascita della Repubblica italiana: continuare ad essere un riferimento certo per la costruzione di un mondo più giusto ed equo, fondato sulla strenua difesa dei diritti umani ad ogni latitudine; e farlo restituendo la centralità che meritano ai milioni di italiani, italo-discendenti, italici che hanno permeato con il loro lavoro e la loro cultura nazioni e continenti. Un auspicio che è anche un ambizioso obiettivo da perseguire con determina[1]zione negli anni a venire, quelli che ci porteranno al centenario della Repubblica italiana