Come la comunicazione digitale può annientare la politica dell’ascolto
A volte un piccolo libro può essere profondo e suggestivo più di un saggio di centinaia di pagine. È questo il caso di Infocrazia.
Le nostre vite manipolate dalla rete, pubblicato in Italia da Einaudi e scritto dal filosofo sudcoreano Byung-Chul Han.
Per l’autore di questo breve ma interessantissimo libro il regime dell’informazione (la “infocrazia”, appunto) è quella forza di dominio nella quale i meccanismi della comunicazione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e intelligenza artificiale, i processi sociali economici e politici.
L’affermazione della propria opinione annulla la piazza della democrazia, che è confronto e ragionamento, per fare spazio alla piazza digitale, che è soliloquio alla ricerca di like.
La comunicazione digitale, in quanto comunicazione senza comunità, annienta la politica dell’ascolto. Così, ascoltiamo solo noi stessi.
Questa è la fine dell’agire comunicativo. Nell’universo basato esclusivamente sui dati la democrazia lascia posto ad una infocrazia; la sfera del discorso pubblico è sostituita dall’ analisi dei dati per mezzo dell’intelligenza artificiale, il che significa la fine della democrazia.
La crisi della verità appartiene alle distorsioni patologiche della società dell’informazione. Nasce nel momento in cui perdiamo la fede nella verità stessa. Nell’era delle fake news, della disinformazione e delle teorie del complotto, stiamo perdendo il contatto con la realtà e le verità fattuali. La diffusione della tuttologia, ed il bisogno estremo di esprimere comunque una opinione incompetente, distrugge la credibilità delle competenze, che restano un’etichetta sbiadita da lasciare alla noia dei curricula. Uno vale uno è diventato il mantra della democrazia digitale.
Nello Stato totalitario, che è costruito sulla totale menzogna, dire la verità è un atto rivoluzionario.
Il coraggio della verità è il segno distintivo di chi cerca ancora la democrazia. “Nel regime dell’informazione – scrive Han – essere liberi non significa agire, ma cliccare, mettere like e postare.”
La digitalizzazione sta da tempo interessando anche la sfera politica e gli sconvolgimenti che produce nel processo democratico e nelle nostre vite sono massicci, epocali. Storditi dalla frenesia della comunicazione a ciclo continuo, ci ritroviamo impotenti di fronte a un sistema che trasforma l’essere umano in una miniera di dati da estrarre. Il nostro modo di pensare e intervenire nel mondo, il nostro rapporto con la verità stanno inesorabilmente cambiando. Siamo apparentemente
liberi, ma incapaci di discutere.
Immersi nell’infocrazia, nella quale libertà e sorveglianza coincidono, assistiamo al tramonto dell’epoca della verità.
Citando il libro del filosofo sudcoreano che oggi vive in Germania, l’ex Sindaco di Roma nonché primo Segretario nazionale del Partito Democratico Walter Veltroni, si chiede se “tutto questo ha a che fare con la democrazia e la libertà”, aggiungendo: “Come mai, da quando la rivoluzione digitale si è pienamente affermata, il numero delle democrazie è diminuito e sono cresciuti, ovunque, soggetti che hanno vinto le elezioni sulla base di logiche avverse alle regole e dei principi della libertà e del pluralismo?”
Il coraggio della verità è il segno distintivo di chi cerca ancora la democrazia
Facendo poi riferimento alle fake news, Veltroni commenta: “Anche le false notizie, già ora antenate appassite delle possibilità inedite che l’intelligenza artificiale genera di costruzione di ‘finta realtà’, sono funzionali al dogma della società digitale: la velocità”. La rivoluzione digitale è stata sicuramente portatrice di grandi innovazioni e miglioramenti nella qualità delle nostre vite, ma ha portato con sé effetti devastanti per la tenuta della democrazia; analizzarli e denunciarli è doveroso se si hanno a cuore le sorti dell’umanità.