Cento anni fa nasceva ad Omegna, un piccolo comune piemontese sulle rive del Lago d’Orta, il più grande scrittore italiano di storie per l’infanzia, Gianni Rodari. La mia generazione ha avuto la fortuna e il privilegio di abbeverarsi ai versi delle poesie e delle storie fantastiche di Rodari, unico italiano ad avere avuto l’onore di ricevere dalle mani del re di Danimarca il “Premio Christian Andersen”, una sorta di premio Nobel della letteratura per bambini. Questo straordinario pedagogista e scrittore, molto noto in Italia e anche all’estero, non gode però della fama universale che meriterebbe e in questo senso le celebrazioni organizzate in occasione della sua nascita stanno cercando di rendere giustizia alla memoria di questo vero e proprio monumento della cultura italiana a livello mondiale.
Dopo i primi anni di insegnamento alle scuole elemantari, il giovane Rodari si unisce ai partigiani nella Resistenza. Impegno civile che continuerà dopo la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, con la collaborazione al giornale “L’Unità”, il quotidiano del Partito Comunista. Proprio su “L’Unità” inizia a scrivere le sue prime filastrocche per bambini, che dopo qualche anno inizieranno ad essere pubblicate dalla prestigiosa casa editrice Einaudi nella collana “Gli Struzzi” a fianco di autori consacrati come Edgar Lee Master o Bertold Brecht. Per Rodari il fantastico è necessario per immaginare altri mondi, per costruire un nuovo modello di società.
Quando con l’architetto Francesco Orofino e l’ex Vice Sindaco di San Paolo Alda Marcantonio pensammo ad un nome per la nuova sede dell’associazione “Ponte Brasilitalia”, che da oltre venti anni offre servizi socio-educativi ai ragazzi e alle famiglie della comunità carente di Vila Dalva nella periferia della città, riferendoci all’insegnamento di Gianni Rodari la battezzammo “Lo Spazio dei Sogni”. I sogni infatti sono essenziali per trasformare la realtà; fantasia e realismo, sosteneva Rodari, sono essenziali poiché la fiaba educa la mente e l’immaginazione serve a fare ipotesi.
Alla base della poetica dello scrittore italiano c’è quindi un chiaro disegno pedagogico, che presuppone una scuola viva, aperta dalle nove di mattina alle cinque di pomeriggio, dove alle lezioni si alternano gioco e ricreazione, dove i più bravi aiutano gli altri a fare i compiti e dove i libri sono il cibo di tutti, specie di chi non ne possiede. Al contrario, una scuola impostata sulla disciplina, sull’obbedienza e sui metodi autoritari rischierebbe di soffocare la creatività e la fantasia dei ragazzi: che cosa se ne fa una società di un ragazzino zitto e ubbidiente, si domandava Rodari; alla società servono ragazzi svegli, collaborativi, fantasiosi.
Un grande insegnamento oggi ancora più significativo e attuale, nell’anno segnato da una pandemia che ci ha costretto a ripensare metodi e modelli educativi, restituendo alla scuola la sua centralità nella formazione degli individui. «È bello andare a scuola – scriveva Rodari – ritrovarsi tra amici, lavorare insieme, studiare. Non per la pagella, ma per diventare uomini». Umanità alla quale Gianni Rodari ha dedicato i suoi racconti fantastici e le sue incantevoli poesie, con moniti e insegnamenti ancora attualissimi. Una delle poesie più note, “Il cielo è di tutti” è diventato un inno alla fratellanza e all’ambiente, con la sua conclusione che continua a interpellarci tutti: “Spiegatemi voi dunque, in prosa o in versetti, perché il cielo è uno solo e la terra è tutta a pezzetti.”