L’Italia ha celebrato i cento anni della nascita del sacerdote che rivoluzionò il concetto di educazione
Il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, il sacerdote-educatore fiorentino che con la sua vita e la sua opera rivoluzionò il concetto di scuola lasciandoci una delle opere più forti e significative, Lettera a una professoressa, è stato anche una grande opportunità per riflettere sulla grande attualità del suo pensiero.
Lorenzo Milani nacque il 27 maggio del 1923 a Firenze da una famiglia agiata, e già questo dato ci aiuta a compiere una prima riflessione sul coraggio e l’anticonformismo che guiderà la decisione di farsi prete e di dedicare ai più poveri, agli ultimi, il suo impegno pastorale. La sua prima opera Esperienze pastorali è un’analisi sociologica della società italiana negli anni 1950, vista attraverso l’esperienza della sua parrocchia; uno studio del popolo di cui don Lorenzo è cappellano, il popolo di S. Donato a Calenzano, un paese in provincia di Firenze, con una profondità di intuizioni e verifiche che nessun testo di sociologia ha mai raggiunto.
Ma è a Barbiana, dove don Lorenzo fu trasferito dai suoi superiori, che si realizza il piccolo e al tempo stesso grande miracolo dell’azione pedagogica e pastorale del prete fiorentino: la scuola popolare nata nei locali della parrocchia diventerà un laboratorio di formazione di nuovi cittadini, che si approprieranno del potere rivoluzionario della parola per sconfiggere le discriminazioni e trasformare la società: “Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale — continua don Milani — è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli”.
Un prete coraggioso e controcorrente, don Lorenzo, che nel 1966 ha anche il coraggio di affermare il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare in una lettera aperta ai cappellani militari; per questo documento fu accusato di “apologia di reato” e anche condannato. Condanna che arrivò nel 1967, pochi giorni dopo la morte del sacerdote a seguito di una grave malattia.
Per la mia formazione di dirigente studentesco prima e di obiettore di coscienza poi, il messaggio del prete di Barbiana è stato profondo e dirompente ed è interessante notare come mentre don Milani scriveva la sua Lettera ad una professoressa dall’altra parte del mondo, a Recife, un altro educatore rivoluzionario, Paulo Freire, pubblicava la sua Pedagogia degli oppressi, altro testo imprescindibile per quanti credono alla forza trasformatrice della scuola.
Paulo Freire e Lorenzo Milani, due storie diverse unite dalla comune passione per la libertà e l’educazione.
Il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, pochi giorni fa ha voluto rendere omaggio al grande sacerdote e pedagogista italiano ricordando il suo motto più famoso: “Il suo I care è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza. A quella espressione — ha poi aggiunto Mattarella — se ne accompagnava un’altra.
Diceva: “Finché c’è fatica, c’è speranza”. La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire. E lui ha percorso un vero cammino di costruzione”.