Le novità in materia di insegnamento nelle istituzioni scolastiche e culturali italiane all’estero, contenute nel decreto legge approvato dal Governo lo scorso 26 agosto e conosciute finora sulla base di anticipazioni di stampa, destano alcune perplessità che vorremmo tempestivamente manifestare.
Il decreto afferma che a partire dall’anno scolastico 2013-2014, “per specifiche e insopprimibili esigenze didattiche e amministrative”, può essere conservato, ad invarianza di spesa, un limitato numero di posti vacanti e disponibili nel contingente, sui quali possono essere assegnate unità di personale individuate nelle graduatorie ministeriali. A denti stretti si riconosce l’insostenibilità dell’interpretazione restrittiva e burocratica che è stata fatta negli anni passati della spending revew in questo campo, ma si creano problemi applicativi non meno allarmanti.
Prima di tutto, in base a quali criteri sono definite le “specifiche e insopprimibili esigenze” da coprire? Non è la prima volta che le esigenze si rivelano tanto “specifiche” da diventare “particolari”, anzi personali. E questo, naturalmente, è da evitare.
In secondo luogo, la priorità nelle nomine dei supplenti data a personale a contratto assunto in loco, associata alla possibilità di insegnare materie obbligatorie secondo l’ordinamento scolastico italiano, prima preclusa, pone serie questioni interpretative. Per quanto ci riguarda, siamo sempre stati favorevoli ad una sempre più organica utilizzazione delle forze professionali esistenti in loco, ma non in contrapposizione al personale di ruolo compreso nel contingente, che ha arrecato e può continuare a dare alla lingua e alla cultura italiana all’estero un apporto qualitativo importante e in alcuni casi insostituibile. In concreto, che significa che il personale a contratto chiamato a insegnare materie dell’ordinamento scolastico italiano debba avere una conoscenza della lingua italiana “adeguata ai compiti lavorativi” e debba essere “in possesso dei requisiti previsti dalla normativa italiana? I margini di discrezionalità nella valutazione di questi elementi sembrano troppo ampi.
In più, è tempo ormai di riconoscere che il ricorso alla formula magica del “contratto di diritto locale” spesso nasconda una pratica di sfruttamento e di sacrificio di diritti che non può essere ulteriormente consentita. Non a caso, sono sempre più numerosi i giudici di importanti Paesi che condannano dirigenti scolastici e consoli a riconoscere fondamentali diritti di lavoro e previdenziali a precari che si sono rivolti ai tribunali.
Il punto di fondo da chiarire, inoltre, è se il ricorso al contingente costituito sulla base delle graduatorie formatesi per concorso resti una delle fondamentali opzioni da integrare in modo equilibrato con l’utilizzazione del personale locale o se invece si persista in una deriva di residualità che ha già provocato danni irreversibili sul piano della qualità e della credibilità dell’offerta di lingua e cultura italiana nel mondo.
La conversione in legge del decreto, dunque, sarà l’occasione per un confronto vero e approfondito con il Governo su questi punti, sperando che nel decorso parlamentare non si riproponga una situazione di “prendere o lasciare” e si presentino, invece, le condizioni per un dialogo costruttivo e migliorativo delle soluzioni proposte, a beneficio dell’utenza diffusa nel mondo e della stessa immagine internazionale del nostro Paese.
G. Farina, L. Garavini, F. La Marca, F. Porta