A giudizio in Italia un militare brasiliano per i crimini del “Plan Condor”
La prima condanna ad un ufficiale brasiliano per i crimini commessi durante gli anni della dittatura militare potrebbe essere emessa nei prossimi mesi in Italia, nell’ambito degli sviluppi successivi al processo al “Plan Condor”, avviato nel 2016 e conclusosi nel 2019 con la condanna di 24 imputati. Il processo, del quale ho parlato qualche anno fa sempre in questa colonna, ha un carattere storico per essere stato il primo giudizio svolto da una corte internazionale ‘super partes’ sui reati commessi da politici e militari durante gli anni ’70 e ’80 in Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Paraguay, Peru e Uruguay. Il cosiddetto “Plan Condor” era un’operazione che coordinava le azioni di indagine e repressione di quei regimi militari nei confronti dei militanti e delle organizzazioni dell’opposizione. Nel 2016, dopo anni di indagini, il processo iniziò in Italia con la costituzione del governo italiano (all’epoca presieduto da Enrico Letta) come parte civile; tutti gli accusati infatti erano imputati per l’omicidio volontario pluriaggravato di ventitre cittadini italiani. La cittadinanza italiana delle vittime ha permesso la celebrazione del processo in Italia mentre la prescrizione è stata superata grazie all’esistenza del reato di lesa umanità, imprescrittibile per la legge italiana.
Atila Rorhrsetzer ha oggi 89 anni ed è l’unico ancora in vita dei quattro militari brasiliani imputati nel processo (gli altri tre erano João Osvaldo Leivas Job, Carlos Alberto Ponzi e Marco Aurélio da Silva Reis); Rorhsetzer, meglio conosciuto come “Atila”, all’epoca dei fatti – nel 1980 – era a capo della Divisione Centrale di Intelligenza del Rio Grande del Sud. Il processo che lo riguarda è stato stralciato da quello principale conclusosi due anni fa a Roma e, dopo una serie di udienze preliminari e interlocutorie, dovrebbe concludersi il prossimo 26 ottobre con la sentenza definitiva. L’ufficiale brasiliano, che oggi vive a Florianopolis, è accusato del sequestro, della sparizione e della successiva uccisione del cittadino italo-argentino Lorenzo Vinas Gigli, arrestato dalla divisione che faceva capo proprio ad Atila Rohrsetzer il 26 luglio 1980 ad Uruguaiana, presso il confine tra Argentina e Brasile. Gigli, che da soli venti giorni era diventato padre di una bambina, sapeva di essere ricercato dall’apparato di repressione militare argentino e quindi di essere in pericolo di vita; aveva pianificato la fuga e prevedeva di partire da Rio de Janeiro per l’Italia, dove si sarebbe ricongiunto con la sua famiglia nelle Marche. Da quel giorno non si hanno più sue notizie, con esclusione di alcune importanti testimonianze (agli atti del processo) di alcuni compagni di prigionia che lo incontrarono a Buenos Aires presso un centro di detenzione di clandestina, pochi giorni prima di essere imbarcato in uno dei tanti “voli della morte” sul Rio de la Plata.
Ancora oggi la moglie Olga Romana Allegrini, anche lei di origini italiane, stringe al petto la foto del marito nella speranza che sia fatta giustizia.
Anche per il Brasile questa sentenza potrebbe avere un valore storico oltre che politico. Sarebbe infatti la prima condanna per un autore di crimini commessi durante la dittatura militare; sebbene lo Stato brasiliano abbia in passato riconosciuto questi delitti e molte vittime siano state indennizzate in ambito civile, mai una condanna penale aveva riguardato tali reati. Un monito per tutti i nostalgici delle dittature di qualsiasi colore politico, una sentenza per non dimenticare mai che i delitti contro l’umanità non possono mai essere archiviati. Un atto di verità e giustizia.