Il mondo non può chiudere gli occhi di fronte alla violazione di diritti umani e ambientali
Le immagini della sofferenza del popolo Yanomami hanno scosso le coscienze di ognuno di noi e non possono lasciarci indifferenti, in primo luogo coloro che sono impegnati a costruire il bene comune nelle istituzioni. E non solo in Brasile, poiché sembra che lo sfruttamento illegale delle risorse delle terre indigene interessi anche le importazioni italiane di materiali preziosi.
Per questa ragione ho presentato una interrogazione al Governo italiano, chiedendo di attivarsi sul piano diplomatico affinché vengano implementati gli accordi internazionali in vigore per assicurare la sostenibilità e la tutela delle popolazioni indigene e venga aiutato il popolo Yanomami ad uscire dall’emergenza. Inoltre, per evitare che il prodotto dello sfruttamento illegale del territorio appartenente a tale popolo arrivi anche in Italia, arricchendo i predatori, ho chiesto che venga rafforzata la rete di controllo sulla filiera dei prodotti provenienti dall’estero, in maniera che siano chiare ed evidenti le certificazioni richieste sul piano internazionale, per assicurare un Made in Italy che rispetti l’eticità dell’origine dei prodotti secondo norme internazionali universalmente acclarate.
La foresta amazzonica è una realtà di interesse internazionale che copre circa la metà del territorio del Brasile. Di conseguenza, risulta di fondamentale importanza assicurarne il mantenimento per garantire gli equilibri ambientali sia locali che globali contenendo circa il 10% del patrimonio mondiale di biodiversità. In tale contesto vive anche più
della metà della popolazione indigena del Brasile, cioè circa 450 mila persone. Con la Costituzione del 1988, il Brasile ha riconosciuto i diritti fondamentali delle popolazioni indigene, rispettandone l’autonomia sotto i vari punti di vista, mettendo di conseguenza il freno allo sfruttamento predatorio di quel territorio e riconoscendo l’uso esclusivo e il possesso permanente delle terre indigene ai nativi stessi pur rimanendo la proprietà dello Stato federale, che può intervenire su tale territorio previa consultazione delle popolazioni interessate.
Nonostante tali riconoscimenti sul piano dei princìpi e della legislazione, le popolazioni indigene hanno continuato a vedere negati i propri diritti e ad essere coinvolte in conflitti tra gli indigeni stessi e le compagnie minerarie interessate allo sfruttamento del sottosuolo oltre alle incursioni dei minatori artigianali che penetrano illegalmente nei territori indigeni alla ricerca di metalli preziosi.
Anche a causa delle gravissime omissioni del governo brasiliano gli indigeni sarebbero stati flagellati dalla fame a causa delle attività minerarie illegali dei “garimpeiros”. Tale situazione ha portato a malnutrizione e morte, tanto che si calcola che, negli ultimi anni, ogni 60 ore muoia un bambino Yanomami, sotto i 5 anni, per fame e malattie correlate, contando complessivamente ben 570 bambini deceduti. Le attività illecite hanno modificato l’equilibrio ambientale portando ad una catastrofe umanitaria denunciata da varie organizzazioni, soprattutto cattoliche, che hanno portato a provvedimenti inascoltati da parte del Governo Bolsonaro, favorevole allo sfruttamento minerario.
Nelle scorse settimane, data la condizione umanitaria, il Presidente Lula ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria e la ministra dell’Ambiente ha deciso di attivarsi per cacciare i “garimpeiros” dalle terre indigene che avevano costruito anche ben 40 piste di atterraggio illegali.
Anche la comunità internazionale ha il dovere di mobilitarsi, implementando gli accordi internazionali in vigore per assicurare la sostenibilità e la tutela delle popolazioni indigene. È per questi motivi che quanto accade in Amazzonia chiama in causa ciascuno di noi.
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