Il Decreto legge n. 48/2023 entrato in vigore lo scorso 5 maggio prevede misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro. Queste nuove misure che dal 2024 sostituiranno il RDC (Reddito di cittadinanza) sono: “l’Assegno di inclusione” e il “Supporto per la formazione e il lavoro”.
Si tratta di due benefici economici: il primo è in pratica una integrazione al reddito familiare per famiglie povere, il secondo è uno strumento teso a favorire l’attivazione nel mondo del lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa mediante la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro.
Si ricorda che, con la legge di bilancio per l’anno finanziario 2023 è stata disposta l’abrogazione dal 1° gennaio 2024, del Reddito e della Pensione di cittadinanza. Purtroppo entrambe le nuove misure sono subordinate (come il RDC d’altronde) a requisiti di residenza in Italia che escludono praticamente tutti i nostri connazionali emigrati i quali dovessero rientrare e trovarsi in una situazione di disagio economico e lavorativo. Infatti per aver diritto ai due benefici economici ed occupazionali bisognerà far valere almeno 5 anni di residenza in Italia (e questo requisito non rappresenta ovviamente un ostacolo per gli italiani che rientrano in patria) di cui due immediatamente prima della presentazione della domanda (ed è questo il requisito che non potrà essere fatto valere dai nostri emigrati iscritti all’Aire che rientreranno in Italia), come stabilito dagli articoli 2 e 12 del Decreto.
Paradossalmente i requisiti di residenza di cui sopra che escluderanno dai due benefici gli italiani che rientrano in patria, sono stati introdotti (in effetti sono stati “ribaditi” perché mutuati dalla normativa sul RDC) proprio dopo che la Commissione europea (come ho denunciato a più riprese e anche in una mia recente interrogazione al Ministro del Lavoro) ha avviato due procedure di infrazione nei confronti dell’Italia, inviando lettere di costituzione in mora all’Italia, in ragione del fatto che le normative sul RDC e sull’AUU non sono in linea con il diritto dell’UE in materia di libera circolazione dei lavoratori e dei diritti dei cittadini.
Con riferimento al requisito della residenza, infatti, l’istituto del reddito di cittadinanza prevede, tra gli altri, quale condizione per accedervi, l’aver soggiornato in Italia per 10 anni, di cui 2 consecutivi, immediatamente prima della presentazione della domanda. A norma del regolamento (UE) n. 492/2011 e della direttiva 2004/38/CE, la Commissione ricorda infatti che “le prestazioni di sicurezza sociale come il “reddito di cittadinanza” dovrebbero essere, invece, pienamente accessibili ai cittadini dell’UE che sono lavoratori subordinati o autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato. Inoltre, i cittadini dell’UE non impegnati in un’attività lavorativa per altri motivi dovrebbero poter beneficiare della prestazione alla sola condizione di essere legalmente residenti in Italia da almeno tre mesi.
Insomma il nuovo Governo ora conferma i pasticci di quello precedente in materia di compatibilità dei requisiti di residenza richiesti per le prestazioni di sicurezza sociale con la normativa comunitaria sulla libera circolazione e i diritti sociali dei cittadini. Aspettiamoci perciò nuove procedure di infrazione della Commissione europea contro l’Italia a causa dei requisiti di residenza ora richiesti nel Decreto Lavoro ai fini del diritto all’Assegno di inclusione e del Supporto per la formazione e il lavoro che come ho ricordato sono ritenuti illegittimi dalla Commissione europea e che penalizzerebbero (con l’esclusione dal diritto) anche e soprattutto – se l’Italia non si adeguerà ai rilievi della Commissione europea – i nostri connazionali che rientrano in Italia.
Ufficio Stampa On. Fabio Porta