Una riflessione di Fabio Porta
Il 3 febbraio del 2015 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, prestava giuramento sulla Costituzione e si presentava al Parlamento e al popolo italiano come il massimo garante della Costituzione: “L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza”.
Nel corso della sua presidenza l’arbitro è stato fedele al suo mandato e alla sua promessa, anche quando la “partita” è divenuta estremamente complessa e difficile, ponendo l’arbitro di fronte a scelte affatto semplici e scontate.
Basti pensare all’estrema difficoltà per dare vita ad un governo all’indomani delle elezioni del 2018, al successivo e altrettanto delicato passaggio dal governo giallo-verde a quello giallo-rosso e – soprattutto – alla complicatissima crisi che ha portato qualche giorno fa all’incarico a Mario Draghi.
Il 3 febbraio di quest’anno, a sei anni esatti dall’inizio del suo mandato e a un anno dalla sua fine, il Presidente della Repubblica ha pronunciato parole chiare e perentorie rivolgendosi a tutti i partiti con una schiettezza e una forza che hanno pochi precedenti: “Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica.”
Ci sono state in passato altre situazioni emblematiche nel corso delle quali è apparsa chiara la funzione delicata e centrale della presidenza della Repubblica quale punto di riferimento e di equilibrio del nostro assetto politico-istituzionale come anche della tenuta dell’intero sistema sociale italiano. Quella di queste settimane è sicuramente una di queste situazioni, resa particolarmente drammatica dal contesto nel quale il Presidente Mattarella ha dovuto esprimere il suo ruolo di garante e arbitro: la pandemia, che nelle prossime settimane potrebbe raggiungere in Italia il triste primato dei centomila morti.
All’appello di Mattarella e alla conseguente scelta di Draghi, nessun politico con un minimo di coscienza e di responsabilità verso il bene comune e il futuro delle giovani generazioni dovrebbe sottrarsi; e in questo senso va apprezzato lo sforzo che – al netto delle rispettive contraddizioni e difficoltà – sta portando quasi tutti i gruppi politici presenti in Parlamento ad accogliere l’invito del Presidente.
A Sergio Mattarella e a Mario Draghi tutti gli italiani dovrebbero oggi rivolgere un sincero e convinto ringraziamento per l’alto senso dello Stato e lo spirito di servizio che rimangono saldamente alla base delle loro convinzioni e delle loro scelte. Giovanissimo, ho avuto l’opportunità di frequentare – come Mattarella – il Movimento Studenti di Azione Cattolica, divenendone anche Segretario Nazionale; in quegli anni ho potuto maturare la mia coscienza democratica nel rapporto vitale tra l’umanesimo cristiano e l’impegno sociale e politico. Nelle difficili e sofferte scelte di questi giorni del Presidente della Repubblica ho potuto riscontrare nitidamente questi capisaldi, traendone insieme la conferma e la soddisfazione per averlo votato sei anni fa insieme alla serena fiducia per le difficili sfide che attendono l’Italia nei prossimi mesi, gli stessi che separeranno Mattarella dalla conclusione del suo settennato.
Gli italiani possono ritenersi fortunati per avere come massima carica dello Stato una persona di formazione e convinzioni così alte e nobili; anche noi italiani all’estero saremo sempre riconoscenti al Presidente, che per la prima volta ha riconosciuto una sorta di primazia dell’Italia nel mondo nella costituzione dello Stato unitario: “La storia dell’emigrazione italiana è, prima ancora dell’Unità d’Italia, la storia unitaria del nostro popolo”. Sono le parole che Mattarella rivolse agli italiani nel mondo nel suo discorso alla collettività italiana riunita presso il Teatro “Coliseu” di Buenos Aires l’8 maggio del 2017. Parole inedite e forti, che guardando indietro nel tempo proiettano verso il futuro una nitida linea fatta di impegni e scelte precise; è quello che ci aspetteremmo da ogni grande “statista”, anche se non sempre le nostre aspettative vengono premiate.
È per questo che oggi, nel bel mezzo della tempesta pandemica che il mondo sta attraversando, poter contare su uomini come Sergio Mattarella è un bene più prezioso di quanto forse immaginiamo. Ricordarcene non è retorico, proprio perché tali fortune non sono scontate né eterne.
Fabio Porta