Cinquanta anni fa si consumava in Cile il violento golpe del generale Pinochet
Quando si dice “11 settembre” la mente automaticamente compie un balzo indietro di ventidue anni quando negli Stati Uniti si consumò uno degli attentati terroristici più grandi della storia dell’umanità: l’abbattimento delle Torri Gemelle. Ma c’è un altro episodio storico tristemente legato all’11 settembre: la morte del presidente socialista cileno Salvador Allende, caduto l’11 settembre 1973 durante l’assedio al palazzo presidenziale del golpista Augusto Pinochet.
Ero un ragazzino all’epoca dei fatti, ma conservo ancora oggi un ricordo vivo di quel periodo e degli anni che ne seguirono; mio fratello Massimo, più grande di me e all’epoca giovane dirigente socialista italiano, seguiva con trepidazione i fatti del Cile e a casa avevamo tutti i
dischi degli “Inti Illimani”, il popolare gruppo musicale cileno esiliato in Italia che in quegli anni divenne una bandiera della lotta contro la dittatura e la libertà.
Il golpe di Pinochet fu probabilmente il punto più alto di quella strategia del terrore che negli anni sessanta e settanta portò al potere in Sudamerica dittature militari con il sostegno nemmeno tanto velato della CIA americana; si trattava del cosiddetto “Plan Condor”, oggetto dopo alcuni decenni di un processo ai suoi protagonisti realizzato proprio in Italia e che ancora oggi sta portando avanti la sua battaglia di verità e giustizia.
Sì, perché i delitti di lesa umanità sono imprescrittibili e l’Italia si è sempre distinta per la solidarietà con tutte le vittime delle dittature e i loro familiari.
Il caso del Cile è emblematico anche perché la sua ripercussione in Italia fu fortissima: dalla Democrazia Cristiana di Aldo Moro al Partito Socialista di Bettino Craxi tutti i partiti italiani che avevano preso parte all’assemblea costituente, memori della lotta al fascismo e alla dittatura di Mussolini si schierarono subito a fianco dell’opposizione al regime di Pinochet. Anche il “compromesso storico”, la politica di intese e collaborazione tra democristiani e comunisti, nacque a seguito della riflessione che l’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, sviluppò con tre articoli sulla rivista “Rinascita” nel 1973. Tale strategia si fondava sulla necessità della collaborazione fra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista con quelle di ispirazione cattolico-democratica, al fine di dar vita a uno schieramento politico capace di realizzare un programma di profondo risanamento della società e dello Stato italiano, sulla base di un consenso di massa tanto ampio da poter resistere ai contraccolpi delle forze più conservatrici.
L’ambasciata italiana a Santiago accolse in quegli anni centinaia di oppositori alla dittatura
L’Italia fu l’unico Paese europeo a non riconoscere il governo di Pinochet e ad accogliere presso la sede della nostra ambasciata a Santiago dissidenti e oppositori; tra loro anche l’ex Governatore di San Paolo, Josè Serra. Da alcuni anni un monumento semplice ma evocativo ricorda quel periodo con un omaggio a Lumi Videla, il cui corpo senza vita fu gettato nel giardino dell’ambasciata italiana dai militari come oscuro monito al nostro Paese per la solidarietà alla resistenza cilena. Poche settimane fa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha deposto una corona di fiori in nome del popolo italiano proprio ai piedi di quella scultura. Per tutti questi motivi quanto accadde al Palazzo de “La Moneda” l’11 settembre del 1973 non può essere relegato ad un semplice episodio della storia cilena.
Come ha detto il Presidente Mattarella nel corso della sua recente visita in Cile, quella storia ha incrociato cinquanta anni fa “quella della Repubblica Italiana, fino a confondersi con essa in un ricordo che oggi è patrimonio comune. Tanto il popolo italiano visse intensamente la violazione profonda della libertà e dei diritti delle persone operata dalla dittatura militare”. “Il valore della memoria nella storia di un Paese — ha continuato Mattarella — è elemento fondamentale della sua identità. Come in Europa così in America Latina va pronunciato con forza il no ad ogni negazionismo, brodo di coltura di nostalgie autoritarie. Il “mai più” che segue la presa di coscienza di una nazione matura va accompagnato sempre dal coraggio della verità”. Parole sagge che sottoscrivo, difficile aggiungerne altre.