Porta e la Marca (PD) accordi fiscali con Brasile e Canada: i pensionati traditi da governi e istituzioni

Sono anni che viene applicata illegittimamente la doppia tassazione sulle pensioni degli italiani residenti in questi due Paesi e manca la volontà e la capacità di trovare una soluzione

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Siamo ancora in attesa dei chiarimenti che abbiamo chiesto con le nostre interrogazioni ai Ministeri competenti (Finanze ed Esteri) in relazione a ciò che secondo noi è un’interpretazione sbagliata e un’applicazione penalizzante – a danno dei pensionati italiani residenti in Brasile e Canada –  degli accordi contro le doppie imposizioni fiscali con questi due Paesi. Abbiamo più volte sollevato il problema e richiesto soluzioni, spesso tra l’indifferenza delle Finanze e il comportamento pilatesco dell’Inps. Nei nostri colloqui con i funzionari dei vari dipartimenti interessati è emersa la loro consapevolezza delle nostre ragioni ma, almeno fino ad ora, non sono stati ancora presi provvedimenti o date disposizioni per sanare l’ingiustizia, con politici e burocrati che fanno a scarica barile o se la prendono con l’altro Stato facendo poi ben poco per trovare una soluzione. Nel frattempo migliaia di pensionati residenti in Brasile e in Canada subiscono una doppia imposizione fiscale sulle loro pensioni proprio in virtù di accordi che dovrebbero teoricamente scongiurarla, e si vedono trattenuti dal fisco dei due Paesi somme non dovute o dovute solo in parte.

Come stanno i fatti? Cominciamo con il “caso Brasile” che rappresenta il sopruso più grave perché colpisce svariate migliaia di pensionati italiani. Un accordo  che palesemente contravviene ai valori cardinali delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali, migliaia di pensionati italiani ingiustamente penalizzati, una controversia interpretativa che dura da oltre dieci anni e l’inspiegabile inerzia e insensibilità dei Governi e delle istituzioni che non riescono – o non vogliono per ignoti motivi – a trovare una soluzione equa e soddisfacente per tutti i soggetti coinvolti.

Questo è lo stato attuale delle cose, certamente poco incoraggiante, che riguarda la convenzione fiscale tra Italia e Brasile. Un quadro ancor più paradossale perché, a parole, le autorità competenti dei due Paesi continuano ad affermare di voler trovare una soluzione ma in realtà continuano a scaricare le responsabilità dello stallo sulla controparte contribuendo così a lasciare le cose inalterate.

Il Governo Letta tramite il sottosegretario agli Esteri Mario Giro aveva risposto alla mia interrogazione parlamentare segnalando quello che il Governo italiano considera un errore interpretativo da parte del Brasile, che se da una parte tassa in maniera esclusiva tutte le pensioni di fonte italiana percepite dai residenti in Brasile compresa la parte eccedente i 5.000 dollari americani, dall’altra  non offre la possibilità ai pensionati italiani residenti in Brasile di usufruire del credito di imposta sulle tasse pagate all’Italia. Il Governo italiano ha sempre sostenuto di aver ripetutamente prospettato alla controparte brasiliana il carattere prioritario delle problematiche relative alla doppia imposizione subita dai pensionati italiani residenti in Brasile nonché la necessità di trovare urgentemente una soluzione alla questione. Il Ministero delle Finanze italiano si è convinto che l’unica soluzione possibile risieda in una modifica normativa alla convenzione vigente, tanto è vero che già alla fine del 2012 era stata presentata ufficialmente alla controparte brasiliana una bozza di disposizioni che potrebbero  essere inserite in un protocollo modificativo della convenzione in vigore. Le proposte italiane riguarderebbero sia il trattamento delle pensioni sia lo scambio di natura fiscale. In particolare da parte italiana si propone – nell’ottica di un compromesso – che per il passato trovi applicazione il principio della tassazione concorrente (per i pensionati italiani residenti in Brasile che hanno finora ricevuto pensioni di fonte italiana la doppia imposizione potrebbe essere eliminata attraverso il riconoscimento di un credito di imposta da parte del Brasile per le imposte versate in Italia) mentre invece per il futuro si introdurrebbe il principio della tassazione esclusiva nello Stato di residenza, applicando pertanto la sola tassazione brasiliana.
Proposta che a noi sembra equa e legittima e che stabilirebbe una volta per tutte che la potestà impositiva spetta solo al Brasile, anche se sarà difficile costringere il Brasile a riconoscere crediti di imposta con arretrati che risalirebbero all’anno 2000. Ma allora se la proposta italiana consoliderebbe una pratica già attuata unilateralmente dal Brasile e andrebbe quindi incontro agli interessi del Brasile, quale è la causa dello stallo delle trattative? Secondo il Ministero degli Esteri italiano da parte brasiliana, nonostante diversi solleciti, non è stato fino ad oggi fornito alcun riscontro ufficiale alle proposte italiane. Tale impasse sarebbe stata ribadita nel corso del V Consiglio di cooperazione tra Italia e Brasile tenutosi il 25 ottobre scorso  a Roma dove le autorità brasiliane non avrebbero mostrato alcuna disponibilità verso la ripresa delle trattative. A questo punto sarebbe opportuno che il nuovo Governo Renzi si faccia carico della questione (non mancherà il nostro contributo politico e legislativo a tale fine) e si impegni a sollecitare il Brasile per una riapertura dei negoziati al fine di chiudere questo assurdo e penalizzante contenzioso che non giova a nessuno e danneggia gli interessi concreti dei nostri connazionali.

Per ciò che riguarda il Canada avevamo già sottolineato nei mesi scorsi che una convenzione che teoricamente è stata stipulata per evitare la doppia tassazione non solo invece la legittima  ma diabolicamente ne complica la comprensione e l’applicazione. Proviamo a spiegarci. Il primo comma dell’art. 18 prevede, come la stragrande maggioranza delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall’Italia e come prescritto dalla Convenzione modello dell’OCSE (il Modello è utilizzato dalla maggior parte dei Paesi facenti parte dell’OCSE come base per la negoziazione di accordi internazionali sulla doppia imposizione), che le pensioni provenienti da uno Stato contraente e pagate a un residente dell’altro stato contraente sono imponibili in questo secondo Stato. Mentre invece il secondo comma sempre dell’art. 18 introduce la facoltà dello Stato di erogazione di tassare anch’esso la pensione e ne indica, in maniera molto contorta, le modalità e le aliquote. Quindi doppia tassazione contro ogni logica e normale prassi regolamentare di questo tipo di accordi. Purtroppo abbiamo potuto verificare che alcuni sedi dell’Inps (forse tutte), sebbene l’accordo preveda la doppia tassazione solo sull’importo eccedente i dodicimila dollari canadesi, tassano l’intero importo della pensione pagata in Canada contravvenendo così alla previsione normativa bilaterale. Il paradosso, ma anche la grave illegittimità del comportamento dell’Inps (i cui dirigenti scaricano la responsabilità del loro errore sull’Agenzia delle Entrate che non avrebbe mai emanato disposizioni certe ed univoche) è avvalorato sia dalla relazione tecnica del Governo del DL di approvazione dell’accordo, sia dall’interpretazione fornita dell’accordo dal Fisco canadese (facilmente reperibile sul web) che statuiscono entrambe in maniera inequivocabile che la doppia tassazione può essere applicata solo sulla parte eccedente i dodicimila dollari canadesi. Ma tant’è, l’Inps continua a tassare su tutto l’importo della pensione ed il Ministero delle Finanze ancora non ha risposto alla nostra interrogazione-denuncia che probabilmente giace in un cassetto dell’ufficio legislativo del Ministero (giova segnalare che il Direttore dell’Ufficio legislativo competente da noi interpellato e da poco sostituito ci aveva riferito che la risposta alla nostra interrogazione era pronta e che aveva confermato le nostre valutazioni).

Per concludere, l’applicazione  degli accordi fiscali con Brasile e Canada sono il classico esempio dell’ignavia della politica, delle disfunzioni della nostra burocrazia e dell’indifferenza della società italiana nei confronti dei diritti – in questi casi veramente violati – degli italiani residenti all’estero.

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