“Ich bin ein berliner” A trenta anni dalla caduta del muro la mia riflessione su “Comunitá italiana” di questo mese

ICH BIN EIN BERLINER

Trenta anni fa la caduta del muro di Berlino chiudeva l’epoca della “guerra fredda”

Sono nato e cresciuto, come tanti lettori di questa rivista, in un mondo diviso in due: da una parte il blocco comunista dominato dall’antica Unione Sovietica e dall’altra l’occidente capitalista guidato dagli Stati Uniti. Una divisione storica nata a Yalta, in Crimea, nel 1945; all’indomani della seconda guerra mondiale si incontrarono in questa piccola città dell’URSS i leader delle potenze vincitrici: il “padrone di casa” Joseph Stalin, l’americano Franklin Delano Roosevelt e il britannico Winston Churchill. Era anche l’inizio della cosiddetta “guerra fredda” tra le due superpotenze di allora, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica; un fattore “X” che avrebbe segnato per decenni gli equilibri mondiali e i rapporti tra Paesi e continenti.

Città simbolo di questo mondo diviso in due blocchi ideali era Berlino. La capitale della Germania, il Paese che usciva peggio dalla guerra a causa della follia criminale del suo dittatore Adolph Hitler, venne divisa in quattro zone: statunitense, francese, inglese e sovietica. Analogamente tutta la Germania sarà spezzata in due: la Germania Federale e la Repubblica Democratica Tedesca; la prima sotto l’influenza occidentale, la seconda nella sfera dell’Unione Sovietica. Per frenare il grande flusso di abitanti dalla Germania orientale verso la più ricca Germania occidentale, nel 1961 il governo della DDR decise di innalzare un muro che separava letteralmente in due la città, una parete invalicabile alta 4 metri che si estendeva per circa 150 chilometri.

Chi ha vissuto i decenni successivi al dopoguerra ricorderà bene la sensazione di ineluttabilità che la “cortina di ferro” (altra definizione classica di quel mondo diviso in due) dava di sé; per un ragazzo cresciuto negli anni ’60 o ’70 quel mondo pareva tristemente destinato alla sua auto-perpetuazione, talmente forte e consolidato era quel sistema geo-politico, fatto di continue minacce e fibrillazioni (la “guerra fredda”, appunto) che in qualche modo divenivano funzionali al mantenimento dello ‘status quo’ e quindi a entrambi i contendenti.

Eppure il 9 novembre del 1989 quel muro crollò; a distruggerlo non furono le bombe di americani o russi e nemmeno l’applicazione di determinazioni superiori o di accordi internazionali. Il muro venne giù a picconate; furono i semplici cittadini delle due Berlino a venirsi incontro con lo stesso anelito di libertà e unità, chi con una pala chi con le mani nude. Furono in tanti quella notte a fare la storia. In pochi giorni il muro sarebbe praticamente scomparso.

E’ ovvio che quanto successe quel giorno non fu un episodio casuale né isolato; tra il 1961 e il 1989 oltre 5mila persone provarono a scavalcare il muro e almeno 3mila furono detenute; cento persone morirono in questo tentativo, l’ultimo il 5 febbraio del 1989. Negli anni ottanta, anche grazie alla forza del pontificato di un Papa che veniva dall’Europa dell’est, Giovanni Paolo II, e ai cambiamenti storici introdotti dal Presidente dell’URSS Michail Gorbachev, il processo di apertura e democratizzazione dei Paesi appartenenti al vecchio blocco dell’est comunista divenne irreversibile.

E’ per questo che quelle immagini di trenta anni fa sono ancora così vive nei nostri occhi e sono diventate le foto dei libri di storia di tutto il mondo; il 9 novembre del 1989 tutti noi ci siamo sentiti cittadini di Berlino, riecheggiando le parole con le quali nel lontano 1963 il Presidente degli Stati Uniti John Kennedy si rivolse proprio agli abitanti di quella città: ”Ich bin ein berliner” ! Un messaggio di solidarietà e fratellanza internazionale ancora attualissimo, in un mondo che pare non aver appreso la lezione di Berlino: qualsiasi muro prima o poi verrà abbattuto; forse sarebbe meglio costruire qualche ponte in più…

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